Di San Marino, le domande e le risposte assurde

27540338_10214957727240767_8021589256823052424_nDopo aver letto questo articolo di Vice, aver riso, essermi un po’ incazzata, ma soprattutto aver pensato che ormai San Marino non significa più niente neanche per chi ci campa ancora in questo posto, ho scritto una risposta a Vice che pubblico qui. Enjoy.

Caro Vice,
Sono Jenny e provengo dalla minuscola e anonima repubblica di San Marino. Sono contenta che, oltre all’articolo legato ai TRASCURABILI (sarcasm!) problemi di mafia e corruzione della nostra parte politica, ti sei interessata a noi come persone, come Stato, come articolo di curiosità.

Ma c’è un ma: quello che ho letto, tra le righe della vostra intervista a Simone (che per la cronaca, non conosco, quindi vorrei sfatare questo mito che ci conosciamo proprio TUTTITUTTI) ho letto cose che beh, non rispecchiano questo posto e mi va di spiegartele. Sono cazzate, lo so, ma sono quelle cazzate che a quelli come me, amanti un po’ della divulgazione e del proprio paese, gli va di specificare.

Storia Sammarinese: beh, non so Simone che scuola ha frequentato, forse io sono più anziana e me la ricordo bene, di averla fatta anche alle Medie. Ricordo anche i vorticosi calcoli per scrivere la doppia data alla lavagna. La data normale e la data con calcolo dell’anno DALLA FONDAZIONE DELLA REPUBBLICA. Uno strazio vero. L’unico modo che mi ha permesso di ricordarmi per sempre l’anno della Fondazione: 301 d.C.

L’errore più grave è quello di accostare la Guardia di Rocca alla Finanza, probabilmente per un fatto cromatico (il verde delle divise). Infatti la Guardia di Rocca NON è un corrispettivo della Finanza. La Guardia di Rocca presidia i confini e i palazzi del potere, ha un reparto antisommossa, si occupa di scortare eventuali valori e controlla il passaggio di beni. È una piccola ‘polizia di frontiera’. NON la finanza.

E, sì, la polizia italiana non può entrare in territorio sammarinese, ma non significa che non avvertirà le forze di polizia sammarinesi ansiose di aspettarvi al confine di Stato. Quindi, amanti di Fast and Furios o ladri, lasciate stare, vi prenderanno.

Se dovessimo accostare l’identità di un paese agli aspetti culinari, il Trentino avrebbe abbandonato l’Italia da un bel po’. Penso che l’appartenenza non sia data da cosa si mangia a cena, ma da come si sente. Ogni volta che affronto un discorso su ‘Ma ti senti italiana?’ la ma risposta è ‘No’ perché non sono italiana. Ogni tanto vorrei essere olandese per le ‘belle sensazioni’ che mi trasmette quel posto, ma non significa che non mi sento parte di una cosa così speciale e unica come San Marino. E no, non è vero che TUTTI PROPRIO TUTTI tifiamo Italia. Simpatizziamo, tipo all’Eurovision. (Non vi voteremo neanche quest’anno, sappiatelo).

È vero: il centro storico è un po’ deturpato, ma è anche vero che è la domanda che fa l’offerta. San Marino si è distinto negli anni abbandonando la nomea di ‘luogo dove comprare l’elettronica a basso costo’ a ‘luogo dove comprare armi da softair e armi bianche a basso costo’. Perché abbiamo voluto che diventasse così. Dovremmo lamentarci? Forse sì, ma non vantarci, sicuramente.

I soldi purtroppo sono qualcosa che ai cittadini, onesti, non si può rinfacciare. Non sono i nostri, non li abbiamo presi noi. Chi ha mangiato sulle nostre spalle ci ha lasciato nella merda. Quella vera.

È facile trovare lavoro a San Marino? Non così facile come è stato descritto: le aziende hanno chiuso, tante, grosse, la manodopera più semplice è ancora a casa. Se la disoccupazione è bassa è perché gran parte delle persone licenziate negli anni erano ‘frontalieri’ (italiani che lavoravano a San Marino). E non è vero che gli stipendi sono più alti, è la pressione fiscale che è molto più bassa di quella italiana: basterebbe saper leggere una busta paga per capirlo. E penso sia importante ribadirlo. Inoltre, per un italiano che lavora a San Marino non è così semplice: è soggetto alla doppia tassazione (Italia – San Marino). So che non è bello come dire ‘prima i sammarinesi’, ma questa è la realtà dei fatti.

Volete sapere altre curiosità? A San Marino non è permesso fumare in auto, di legge, San Marino e il suo centro storico sono PATRIMONIO DELL’UNESCO dal 2008 e ogni anno, per l’anniversario, è possibile visitare le Torri e i Musei in maniera gratuita, San Marino conia monete (euro) ricercatissime e a volte anche rare, così come i francobolli. Seppur così piccola è membro dell’Onu.

La comunità si sta muovendo in maniera più rumorosa per le unioni civili e in un paese dove l’aborto è ancora illegale (tranne in alcune eccezioni, ma sono state riconosciute SOLO nel 2017), la distinzione tra droghe leggere e quelle pesanti è una goccia in un mare di arretratezze.

So che tutto ciò è ‘meno interessante’ che sapere che alle carceri di San Marino è servito cibo da un noto ristorante di qualità, ma penso dia una visione reale di cos’è questa repubblica e non mostrarla agli occhi degli altri come un tripudio di mafia, assurdità, illegalità e cazzeggio.

Essere orgogliosi di essere sammarinesi (o italiani) non significa accettare tutto quello che succede ad occhi chiusi: essere orgogliosi del posto in cui si è nati vuol dire anche cercare di fare qualcosa per cambiarlo, per migliorarlo, partecipando nella maniera che si può anche alla vita della comunità.

Se dopo un articolo in cui si parla solo ‘male’ o in maniera ‘grottesca’ di uno Stato che ha una storia molto più lunga di gran parte degli stati del mondo si conclude con “Comunque oh, è un posto molto bello, Andateci” non si convince nessuno.

Venite a San Marino per vedere un paesaggio che non si trova spesso, per vedere il centro storico tappezzato sì, di balestre e armi, ma anche di merli e richiami medioevali, venire a mangiare nel ‘ristorante che porta il cibo alle carceri’, a scoprire com’è ‘scampata’ all’annessione agli altri stati dopo il Congresso di Vienna e com’è stata terra di accoglienza per i Garibaldini prima e per chi scappava dalle bombe dei Nazisti e Alleati poi.

È anche questa San Marino.

Vado superbo di essere Cittadino di cotanto virtuosa Repubblica. Vi ringrazio del regalo che mi rinnoverà sempre nella memoria l’ospitalità generosa di San Marino in un’ora di suprema sciagura per me e per l’Italia“.
(Giuseppe Garibaldi, 13 giugno 1864)

Questa sono io alle 22.26.

Varco la soglia del bagno per prepararmi per andare a dormire alle 22.26. Ho ancora addosso i vestiti che ho indossato questa mattina alle 07.30 quando mi sono trascinata con una fatica immane fuori dal letto. Ho lavorato quasi 9 ore, mi sono preparata la cena e il pranzo per domani, sono andata a lezione d’inglese, ho sistemato la casa e raccolto i vestiti che domani alle 07.00 porterò in lavanderia ad asciugare.

Sono le 22.26 e non vedo l’ora di andare a letto. Sì, la giornata non è stata delle più pesanti a livello di numero di cose fatte, ma ho il cervello che macina h24 da ormai due settimane senza sosta. Ho dato il via, ieri, alla settimana più difficile della mia vita. Probabilmente neanche a Gennaio di qualche anno fa ho pensato così tanto a cosa sarebbe stato della mia vita dopo una giornata come quella di ieri.

Sono sicura che molte persone a 30 anni hanno preso decisioni ben più grandi delle mie, persone che hanno cambiato il Mondo (e non per scherzo, ma per davvero!), persone che hanno fatti grandi cose e sono passate alla storia a età molto più giovani della mia. Hanno fatto cose che, in confronto a ciò che sto affrontando io è uno scherzo.

Ma per me, per il mio piccolo mondo abitudinario, quello che ho finalmente detto ieri e affrontato è stato un piccolo Davide. Il mio Davide personale. Mettere in gioco tanto, tutto, dover fare qualcosa di estremamente eccezionale per riuscire a capire cosa voglio davvero dalla vita.

E da settimane il cricetino che ho in testa lavora, lavora, lavora… e mi riduce così, con il trucco sfatto da una strusciata del palmo della mano mentre scrivo su un pezzo di carta cosa ne sarà del mio futuro (forse), dai capelli senza una forma che non ho proprio voglia di lavare, dal sorriso che viene e che va, dalla voglia di non-condividere, dalla voglia di non apparire, dal non cercare di far vedere che tutto vada bene.

Perché la vita è anche il basso, il brutto, il non-programmato, la discussione. Non è il patinato, il finto-casuale, l’ovvio, il troppo, il bello, il top. La vita è più ‘bella’ quando dal basso si torna verso l’alto e sai di averlo fatto nel modo giusto, nel modo che volevi, senza fronzoli o finti supporti, in solitaria, come uno scalatore in sella alla sua bicicletta che punta alla vetta (ciclying mi fa male) ma è così che mi sento. In fuorisella che guardo la cima ma con ancora 3 salite brutte da fare. Le 3 salite che mi porteranno al venerdì.

Me, Myself and la SEO

Con il mio lavoro ho scoperto una cosa: quella di non dare mai niente per scontato.

L’analisi analitica dei dati mi ha, forse, tolto un po’ di cuore nelle cose che faccio: questo lavoro fa parte di me, come io faccio parte del mio lavoro. Siamo una simbiosi perfetta di ragionamento e di modo di comportarsi.

Fare SEO significa ottimizzare un sito e renderlo ‘utile’ per gli altri: e non ci sentiamo tutti così? Non vogliamo sentirci utili, apprezzati e amati dagli altri? E quando ciò non succede, cosa facciamo? Valutiamo che cosa abbiamo fatto, prendiamo delle decisioni a seconda di cosa riteniamo sia successo, analizziamo i dati.

Ecco io analizzo un po’ troppo i ‘dati’ e questo mi ha portato alla valutazione analitica di tutto ciò che mi succede. Come davanti a un pannello di Analytics, mi ritrovo a capire cosa mi ha portato in una determinata situazione, quasi sempre non sbagliandomi sul motivo per cui mi sono ritrovata lì, tant’è che molto spesso mi prendo della ‘strega’ da chi mi conosce perché le mie profezie quasi sempre si avverano.

Ho analizzato così tante volte le situazioni che molto spesso non succede più niente di impulso e quelle volte che succede, che butto budget senza valutare le conseguenze o il costo per conversione, mi ritrovo con una campagna di ppc che è una merda e con un risultato da schifo in mano, pagando a caro prezzo quella conversione che non mi ha portato guadagno se non qualche misero spicciolo.

Forse è così che mi sento: un sito non ben ottimizzato, con qualche falla, ma con una buona campagna di posizionemento, utile a molti, ma non un hub per qualcuno.

Troverò il mio target prima o poi? C’è un SEO là fuori che mi possa aiutare?

Non sei tu, sono io. (Davvero)

Non so bene cosa si fosse ‘rotto’ nella mia testa in quel Giugno del 2014, ma era successo… A un certo punto mi sono detta che quella vita non era più la vita che volevo. C’era qualcosa che non andava e io non sapevo bene che cosa.

Due anni a capire chi ero e cosa volevo nella vita accompagnata da una delle persone che la vita me l’ha cambiata davvero, facendomi scavare nella merda più profonda degli ultimi 10 anni, tra conflitti e problemi, ansia, paura, panico, notti insonne e piene di pianti e io, in quel momento come non mai, mi sentivo confusa ma determinata.

La prima cosa che feci fu andare via da casa: continuavo a ripetere che lo facevo per ‘noi’, ma era chiaro che non era così. Era chiaro a tutti, non era chiaro a me.

Poi partì, il solito weekend a Londra, ad Agosto. E mentre ero al Ministry a fare l’unica serata che potevo concedermi all’anno, capì cosa c’era che non va. Mancava la musica. Mancava la musica nella mia vita, si era spenta la ‘radio’ che mi accompagna ogni cazzo di giorno. Non potevo più ascoltare, non la potevo più vivere, non la potevo più sentire. Ero sorda, mi ero resa sorda.

Tornai come dopo un viaggio di quelli in cui vai a scoprire te stesso: avevo ritrovato la persona che ero e che volevo essere.

Ma non parlai: mi sembrava così stupido che una necessità così frivola dovesse dettare la mia vita. Ma il mio spirito parlò per me, parlò forte e chiaro e ho passato mesi a combattere con me stessa, con quello che la società ti chiede a ‘una della mia età’, a portare avanti una cosa irrimediabilmente rotta e senza senso.

Solo a Gennaio trovai la forza di rendermi conto che per quanto io stessi sbagliando, avevo passato anni a prendermi in giro che le cose sarebbero cambiate: per me, per te, per noi. Io ero così, tu eri così. Noi non eravamo così. Agli occhi degli altri ho ‘buttato’ via 7 anni di qualcosa, qualcosa che infondo, non c’era. Ci eravamo accontentati per sette cazzo di lunghi anni.

Sono passati 3 anni ormai… 3 anni di casa vuota quando torno, di cose fatte da sole, di momenti vissuti in solitudine, di letto vuoto ogni mattina. 3 anni senza aver mai pensato di aver sbagliato a Gennaio, per quanto sia dura, per quanto sia difficile.

Tre anni pieni di quello che mi ha aiutato a crescere: pieni di lavoro, di affetto degli amici, di cose da fare, di città scoperte, di voli presi, di avventure vissute.

Pieni di MUSICA!

Pieni di concerti, festival, serate nei locali più di merda che abbia mai visto, eventi sotto i ponti in piena Londra, dentro ex magazzini, km macinati in auto, in treno, in bus, in aereo, a piedi, in taxi col cuore in gola con la paura di non tornare, persone fantastiche conosciute da ogni parte del Mondo, di amici che non mi hanno mai lasciato sola, di sguardi, di limoni, di vita, di urli, di alcool, di lacrime, di gioia, di tristezza, di sole, di pioggia, di tutto.

Non so se sono i 30 che mi hanno cambiato, ma non mi sono mai sentita così viva e la radio, quella che mi accompagna sempre, suona ogni giorno a un livello indecente dentro di me.

Io e il mio rumore

Se mi chiedessero quando non c’è stato, non saprei rispondere…

Quel tarlo lì, tra le costole e lo stomaco, quel dolore, quel pensiero, quel continuo ‘brusio’ in quel punto preciso: lo sento sempre, è come un rumore di fondo che ronza nelle mie orecchie, ma lo fa nel centro quasi esatto del mio corpo e ogni volta mi fa paura.

A volte è forte, a volte è leggero, ma mai silenzioso: è come avere un bambino con te, a volte è assopito a volte strilla talmente forte che non riesci a pensare ad altro che al suo pianto e più ci pensi e più aumenta, ti prende le braccia, le mani, le dita, ti fa venire le formiche, ti toglie il respiro, ti fa sentire le pareti attorno a te che si stringono e ti vogliono stritolare, ti irrigidiscono il corpo, il cuore aumenta, il respiro è tagliato e hai solo bisogno di scappare da quel pianto, da quelle grida, ma non sai dove perché ovunque tu vada loro ti seguono…

Non sono sicura di non averlo mai sentito da almeno 10 anni… ogni volta che mi sembra che si calmi, che mi sento finalmente libera da quel peso lì, lui mi ricorda che c’è. Mi spegne il sorriso, mi spegne la voglia, mi spegne e basta. Spegne la persona che sono, come una luce: lui tira la cordicina e io mi spengo, ubbidiente.

Ma non posso permettermelo, non posso lasciare che questo bambino pianga troppo forte: ci sono persone intorno a me che non capirebbero queste grida, queste urla e non voglio farmi guardare con compassione. Io sono quella forte, quella che che la fa sempre, che è brava, è intelligente, è capace.

Ma vorrei solo scappare, lasciare che tutti sentano le urla di chi vive costantemente con un peso sullo stomaco, che non sa mai quanto pesante sarà quel giorno, che si sveglia bene e poi chissà come va a finire.

E poi ci son quegli occhi lì… che quando li guardo si ferma tutto. Rimane muto anche il rumore… e vorrei parlargli e dirgli cosa mi succede, chi sono davvero dietro questa corazza di sarcasmo e battute, vorrebbe amarlo incondizionatamente, senza controllo e senza pensieri. Ma non riesco a guardarli, non voglio farlo, so che sul mio viso c’è molto di più di quello che voglio dire, che voglio dimostrare. So che a volte parlo più con le mie espressioni che con le mie parole…Io, che pretendo di poter calcolare ogni mia mossa, ogni mio messaggio o parola e finisco sempre per farmi trascinare, da tutto, sempre alimentando come una voragine quel cazzo di rumore che se ne sta lì. E ad ogni fallimento, gira un po’ la manopola di quel volume, quel maledetto volume…

 

(Quasi) 30 anni e non sentirli

Chissà perché su un treno che da Brighton mi riporta a Londra, mi è tornata la voglia di scrivere su questo blog.

Ogni volta che ci ho provato, ho pensato che solo le cose straordinarie valevano la pena di essere raccontate, meritassero l’attenzione di un lettore o di un articolo su un anonimo blog su WordPress. A 20 anni pensavo che le cose straordinarie fossero grandi eventi, incredibili momenti sociali, cose che succedono solo ‘una volta nella vita’. Qualcosa di quasi impossibile.

Oggi, alla soglia dei miei 30 anni, ho scoperto come lo ‘straordinario’ si sia svolto negli ultimi 10 anni. Ho amato e ho sofferto, sono cresciuta e maturata, ho un importante lavoro che mi ha portato dal non sapere nulla del web fino a tenere corsi di formazione ed essere partecipe di appuntamenti internazionali, vivo da sola, ho una famiglia che mi sostiene in tutto ciò che faccio e decido di fare,  una sorella fantastica e delle amiche che non ho mai sentito così vicino come in questo periodo della mia vita.

A 20 anni lo “straordinario” non era di certo quello che ho vissuto ogni giorno della mia vita fino ad oggi, ma guardando indietro, accumulando questi 9 anni di gioie, dolori, felicità, pianti e soddisfazioni, posso dire di aver vissuto qualcosa di straordinario, solo l’inizio di qualcosa di fantastico.

La mia prima volta… sul palco!

Il titolo lo lascio in pasto a Google, quello delle query un po’ peccaminose e un po’ alla ricerca dei fatti degli altri…

Quando mi hanno detto ‘parlerai al corso di Backoffice’ ho pensato ‘questo è uno scherzo’. Per quanto il ‘corso di BackOffice’ sia qualcosa di molto easy, per chi ha scherzato per UNA SETTIMANA durante al BeWizard che ‘l’anno prossimo su quel palco ci vado anche io’ questo significa ‘Hai fatto la simpatica? Ora vediamo come ci stai sul palco’.

Ero già a mille, piena di ‘oh che figata’ ‘oh che meraviglia’ ‘finalmente tocca a me’. La foga (ho scritto FOGA!!) si è trasformato in puro terrore quando era ora di fare sul serio: preparare i materiali e decidere come impostare un intervento.

I miei lontani ricordi delle superiori non mi fanno una brillante preparatrice di materiali ne di discorsi. Ho sempre fotocopiato gli appunti degli altri, sicura della mia memoria storica di spiegazioni e interventi dei professori. Insomma, ero una professionista nello dormire-ascoltare-andare a culo.

Preparare dei materiali significava fare il lavoro sporco che ho sempre evitato e per cui non ho metodo. Risultato: PANIC.

Ho iniziato una settimana prima per finire la sera prima a mezzanotte tra una schermata di Skyscanner e una di Booking. Della serie: ormai sono irrecuperabile, perché non mandarla in vacca?

Il discorso è un’altra parte dura: saprei ripetere quasi a memoria una qualsiasi esposizione che ho ascoltato. Non saprei mettere due parole in croce una dietro l’altra di mio pugno.

Ho scritto, tutto un discorso con tanto di pause e pausine, l’ho letto, ho tentato di ripeterlo, l’ho sistemato, l’ho aggiustato e alla fine, l’ho cestinato, perché ho capito che no, non sarei mai stata capace di ricordarmi, una volta davanti al pubblico, neanche mezza parola.

E allora: via l’improvvisazione è servita. Ho provato un paio di volte, slide sotto gli occhi, quello che mi veniva più semplice da dire, i concetti chiave che sapevo dovevo esprimere per ogni slide e, tra una puntata del Trono di Spade e l’altra (una maratona di 4 stagioni durata 6 giorni con la peggior ansia che si può avere), è arrivato il mio momento.

Penso che non sia mai esistita una dilazione spazio tempo come quella di oggi pomeriggio. Dalle 14.30 alle 16.40 penso siano passate 35 ore in cui continuavo a spulciare Facebook, ascoltare, pensare che sarei svenuta e in che modo mi sarei ripresa mentre qualcuno mi teneva su le gambe..

Ho giocato per una mezz’ora interminabile col microfono, continuando a pensare ‘ma…devo mettermelo ora? Lo metto adesso? Ma funziona? Si sentirà? Riuscirei a fare un discorso senza pronunciare neanche una parola con la R? Ma Buongiorno ha la R. Accidenti, niente da fare”.

Oddio, Sara parla di me… si è uhm…ora.. mi alzo, mi microfono vado eh vado… mi sistemo lì, troppo di lato e alzo gli occhi. MI GUARDANO TUTTI.

Ora. Muoio.

5 minuti in cui non sapevo neanche se avevo ancora più degli arti sotto l’ombelico, in cui non sentivo neanche se ero ancora viva o meno, se ero svenuta e stavo sognando, se questa sensazione di testa leggera significasse che stavo per crollare li, come un salame, un cotechino, come un  BOOM.

Poi.. di colpo… basta. Tzè. Cosa ci vuole? Loro ascoltano me, guardano le slide, scrivono, si interessano. Non mi stanno giudicando, stanno imparando, sono contenti, interessati. Accidenti. SORRIDO. Oh che bello, che piacevole sensazione quando l’ansia se ne va e sei lì e ti diverti davvero.

Le domande, i grazie, i sorrisi e gli applausi. GLI APPLAUSI. A me? No dai. Non me li merito.

I complimenti, l’aperitivo, i messaggi, le conferme. Una giornata colpa, ho il cuore enorme e felice, felice ed enorme 🙂

Perché non finire questa giornata, facendo una attività noiosa come stirare? 🙂